Durante un viaggio nella città di Pienza, Flora, Claudia e Maria si incontrano per la prima volta, dando vita ad una amicizia destinata a durare nel tempo. Sebbene così differenti, saranno di sostegno l’una all’altra.
Flora ha perso il marito Lorenzo di colpo e nella speranza di rielaborare quel lutto è partita per la prima volta da sola.
Il desiderio di continuare a vivere, pur nella solitudine, le farà scoprire una forza che sa di rinascita.
Flora ha perso il marito Lorenzo di colpo e nella speranza di rielaborare quel lutto è partita per la prima volta da sola.
Il desiderio di continuare a vivere, pur nella solitudine, le farà scoprire una forza che sa di rinascita.
Estratto
Ciò che resta dei nostri ricordi sono evanescenti sfumature, offuscate convinzioni di rivisitazioni di qualcosa che diciamo di avere già visto o vissuto. Spesso lacunose certezze, ma, non di meno, ingannevoli. Gli odori, i profumi al contrario aiutano a rendere vivido nella memoria del tempo ciò che rimane; così, quei sedili polverosi, quella gomma di pneumatici tanto più alti di lei, bambina, le ridanno oggi quello stesso senso di nausea di allora. All’olfatto si aggiungono le immagini, scontornate, sbiadite, modificate poi negli anni, ma evocatrici della stessa primitiva sensazione di libertà, di avventura, di trasgressione, di voglia di evasione e, anche se il viaggio non sarà così lungo come quelli ai quali si era abituata con Lorenzo, non ha importanza, sarà un viaggio comunque simile alla sua prima gita scolastica, carico tuttavia questa volta dell’amara consapevolezza di essere all’inizio di un altro tipo di percorso.
Il grande finestrino le rimanda la sua sagoma attuale, e alle treccine bionde di cui era fiera si sovrappongono lunghi fili argentei, non ancora bianchi, ugualmente sottili, ondulati, luminosi, inconfondibilmente suoi.
A Lorenzo piacevano molto i suoi capelli, non voleva che li tagliasse, ogni volta che ne era costretta per ridare un ordine all’acconciatura, lui si adombrava, nemmeno si fosse privata di una parte vitale. E allora nascevano dei battibecchi, nei quali lui la minacciava bonariamente di andarsene, ma Flora sapeva che non l’avrebbe mai lasciata e ci giocava. Ricorda che un giorno lo sfidò, tagliandoli corti, e che lui si rifugiò in garage senza commentare, ma che dopo poche ore risalì e la cercò per amarla, forse immaginando di stringere la stessa donna di prima.
Le campagne sembrano tutte uguali, gli appezzamenti di terra si affiancano ordinati e pare che il tempo non sia trascorso se non fosse per la foggia cambiata dei covoni di fieno. Ora perfetti cilindri, un tempo mucchi informi carichi di fascino. Qua e là si impone al paesaggio qualche impianto fotovoltaico sui tetti, che ne sovrasta la sagoma, mentre sotto vi stanno solide case e cascine, che non raccontano più gli stenti e la fatica del lavoro in campagna. La natura che è attorno, se accudita dalla mano attenta dell’uomo, ricambia in bellezza, una bellezza moderna, civettuola quasi, ben lontana da quella della sua infanzia. Flora, già il suo nome racconta la volontà di esserne parte, ha scelto di salire su quella corriera per misurarsi. Non sa se incontrerà qualcuno con cui scambiare due parole ora che la solitudine diventerà la sua migliore alleata, né tantomeno se riuscirà ad affievolire, indebolire o fingere di averlo fatto, quel grande vuoto nel quale si è ritrovata, così, di punto in bianco. Senza un preavviso, giusto per darsi il tempo di prepararsi, di accettarlo, di organizzarsi. Flora sa benissimo che non si è mai pronti a diventare una metà alla quale manca l’altra, avere per lo meno, un segnale, un’intuizione, un’avvisaglia... Chi lo sa? Forse adesso, se ci fossero stati dei discorsi preparatori, dei sintomi, forse adesso, si dice, quel baratro che le parte dalla testa e invade lo stomaco, sarebbe più sopportabile. E invece nulla. Ci è dentro, come in una centrifuga a mille giri che non le lascia il tempo di capacitarsi. Ne aveva sentito parlare della solitudine, ma un conto è sentirne parlare e un altro è vedersela imposta dal destino.
Ecco un autogrill, una tappa quindi. Adesso non c’è alcuna maestra che indirizzi la fila dei piccoli passeggeri e che li aiuti a scendere... Flora, adulta, sa che dovrà fare ritorno al suo posto sul mezzo e non impiegarci più di dieci minuti, giusto il tempo di un caffè e di una sosta al bagno delle signore. Mentre aspetta il proprio turno e gli sciacquoni si fanno sentire, osserva le mani delle donne che condividono con lei quella fila. Hanno quasi tutte unghie laccate - quest’anno il corallo è molto di moda -, e una fede nuziale. Nella sua sinistra c’è ancora il segno di quella che le mise Lorenzo cercando nei suoi occhi lo specchio della stessa gioia che lui non riusciva a contenere. L’anulare sembra assottigliato dopo tanti anni di matrimonio e crede che dovrà metterci un nuovo anello per sentirsi meno spoglia. Forse ne troverà uno nei borghi che visiterà, gli orafi sono un’attrattiva del posto, perché no, perché non vuole indossarne uno di quelli che le ha regalato Lorenzo; li ha lasciati tutti in cassetta, pur sapendo benissimo che di ognuno ricorda il momento in cui le è stato donato, la foggia e l’importanza, ma meglio non infierire su sé stessa, la memoria ha bisogno di tempo per indebolirsi e far scomparire le ferite. Si sciacqua le mani e ritorna sul mezzo a due piani, imponente, dal quale ogni auto che affianca o supera sembra un piccolo insetto che corre a mettersi al riparo.
Meglio non leggere la guida turistica che ha acquistato in città, perché le aumenterebbe il senso di nausea, ma sfogliare qua e là qualche immagine non la farà di certo stare male. Ha deciso che sarà un viaggio culturale, abbazie e chiese e monasteri ce ne sono a ogni angolo e potrà completare quella parte mistica di conoscenze che le mancano. Lorenzo non amava molto pellegrinare tra chiese, lui credeva poco nella chiesa come istituzione, e se ci entrava lo faceva solo per ammirare i quadri dei pittori che, dietro incarico di papi o nobili o potenti, avevano abbellito, dal Trecento in poi, volte e pareti, e se lo faceva era per compiacere lei, che non perdeva mai occasione di recitare una frettolosa preghiera o accendere una piccola candela votiva. Con l’avanzare degli anni Flora aveva notato come l’avvicinamento a una qualsiasi forma di credo si facesse più assidua nelle persone, quasi certamente spinte dalla paurosa consapevolezza che la vita terrena avesse iniziato il conto alla rovescia e che quindi… non si sa mai: meglio abituarsi all’idea e incamminarsi con le carte in regola verso l’ingresso di quel mondo ultraterreno tanto migliore che le chiese promettevano da secoli.
Lorenzo non era così, lui non temeva di morire, era come se si fosse addestrato e preparato ogni giorno in cui apriva gli occhi, trasmettendo insomma una serenità e una lucidità invidiabili. Era un uomo bilanciato, che non avrebbe mai quindi ceduto al ricatto della paura della fine. Lorenzo se ne è andato infatti così, e Flora, se avesse potuto parlargli un attimo prima, sarebbe stata pronta a scommettere che anche in quel momento Lorenzo non avrebbe avuto né un rimpianto né un rimorso. Ma quel momento non c’è stato.
Da lassù le colline sembrano pezzi di una coperta fatta all’uncinetto, i filari perimetrali sono perfettamente allineati e armonici con i confinanti, Flora ricorda quanto piacesse a sua nonna quel tipo di lavoro manuale che da anni non viene più tramandato alle giovani ragazze. Un vero peccato perché era rilassante nonché creativo. Lei e Lorenzo avevano ricevuto una preziosissima coperta in pizzo quando si erano sposati, fatta a tombolo da una decina di suore che ci avevano lavorato per mesi, ma non l’hanno mai usata per timore di sciuparla. Siamo ben strani noi esseri umani, ricerchiamo il valore in alcuni oggetti e la loro preziosità o originalità ma, temendo di perderla, la conserviamo in un cassetto senza goderne il suo uso. E gli anni passano e noi passiamo e le cose restano, intonse, forse offese perché tanta venerazione da parte nostra le ha svuotate di significato.
Ha le gambe intorpidite, la circolazione sanguigna le difetta un po’ ed è per questo che da una decina d’anni cammina ogni giorno. Lorenzo la aspettava paziente, capiva quanto quell’ora quotidiana fosse per lei importante nemmeno fosse stata una prigioniera, la faceva sentire ancora attiva, energica, illusa che potesse andare ancora molto lontano malgrado l’incedere impietoso degli anni. Lui no, non amava camminare, preferiva spostare pesi, inventarsi lavoretti, pedalare. Quante volte aveva temuto che potesse accadergli qualcosa, un malore, un incidente, una banale caduta. La sua bicicletta ora l’ha nascosta sotto un telo in garage, è troppo d’ impatto per lei vederla lì, abbandonata in attesa che lui ci salga ancora sopra. Riflette che spesso temiamo cose che non sarebbero da temere e che al contrario sottovalutiamo altri eventi, come se fossero estranei e non contemplati dal nostro destino e che invece poi beffardamente saranno quelli che…
Il grande finestrino le rimanda la sua sagoma attuale, e alle treccine bionde di cui era fiera si sovrappongono lunghi fili argentei, non ancora bianchi, ugualmente sottili, ondulati, luminosi, inconfondibilmente suoi.
A Lorenzo piacevano molto i suoi capelli, non voleva che li tagliasse, ogni volta che ne era costretta per ridare un ordine all’acconciatura, lui si adombrava, nemmeno si fosse privata di una parte vitale. E allora nascevano dei battibecchi, nei quali lui la minacciava bonariamente di andarsene, ma Flora sapeva che non l’avrebbe mai lasciata e ci giocava. Ricorda che un giorno lo sfidò, tagliandoli corti, e che lui si rifugiò in garage senza commentare, ma che dopo poche ore risalì e la cercò per amarla, forse immaginando di stringere la stessa donna di prima.
Le campagne sembrano tutte uguali, gli appezzamenti di terra si affiancano ordinati e pare che il tempo non sia trascorso se non fosse per la foggia cambiata dei covoni di fieno. Ora perfetti cilindri, un tempo mucchi informi carichi di fascino. Qua e là si impone al paesaggio qualche impianto fotovoltaico sui tetti, che ne sovrasta la sagoma, mentre sotto vi stanno solide case e cascine, che non raccontano più gli stenti e la fatica del lavoro in campagna. La natura che è attorno, se accudita dalla mano attenta dell’uomo, ricambia in bellezza, una bellezza moderna, civettuola quasi, ben lontana da quella della sua infanzia. Flora, già il suo nome racconta la volontà di esserne parte, ha scelto di salire su quella corriera per misurarsi. Non sa se incontrerà qualcuno con cui scambiare due parole ora che la solitudine diventerà la sua migliore alleata, né tantomeno se riuscirà ad affievolire, indebolire o fingere di averlo fatto, quel grande vuoto nel quale si è ritrovata, così, di punto in bianco. Senza un preavviso, giusto per darsi il tempo di prepararsi, di accettarlo, di organizzarsi. Flora sa benissimo che non si è mai pronti a diventare una metà alla quale manca l’altra, avere per lo meno, un segnale, un’intuizione, un’avvisaglia... Chi lo sa? Forse adesso, se ci fossero stati dei discorsi preparatori, dei sintomi, forse adesso, si dice, quel baratro che le parte dalla testa e invade lo stomaco, sarebbe più sopportabile. E invece nulla. Ci è dentro, come in una centrifuga a mille giri che non le lascia il tempo di capacitarsi. Ne aveva sentito parlare della solitudine, ma un conto è sentirne parlare e un altro è vedersela imposta dal destino.
Ecco un autogrill, una tappa quindi. Adesso non c’è alcuna maestra che indirizzi la fila dei piccoli passeggeri e che li aiuti a scendere... Flora, adulta, sa che dovrà fare ritorno al suo posto sul mezzo e non impiegarci più di dieci minuti, giusto il tempo di un caffè e di una sosta al bagno delle signore. Mentre aspetta il proprio turno e gli sciacquoni si fanno sentire, osserva le mani delle donne che condividono con lei quella fila. Hanno quasi tutte unghie laccate - quest’anno il corallo è molto di moda -, e una fede nuziale. Nella sua sinistra c’è ancora il segno di quella che le mise Lorenzo cercando nei suoi occhi lo specchio della stessa gioia che lui non riusciva a contenere. L’anulare sembra assottigliato dopo tanti anni di matrimonio e crede che dovrà metterci un nuovo anello per sentirsi meno spoglia. Forse ne troverà uno nei borghi che visiterà, gli orafi sono un’attrattiva del posto, perché no, perché non vuole indossarne uno di quelli che le ha regalato Lorenzo; li ha lasciati tutti in cassetta, pur sapendo benissimo che di ognuno ricorda il momento in cui le è stato donato, la foggia e l’importanza, ma meglio non infierire su sé stessa, la memoria ha bisogno di tempo per indebolirsi e far scomparire le ferite. Si sciacqua le mani e ritorna sul mezzo a due piani, imponente, dal quale ogni auto che affianca o supera sembra un piccolo insetto che corre a mettersi al riparo.
Meglio non leggere la guida turistica che ha acquistato in città, perché le aumenterebbe il senso di nausea, ma sfogliare qua e là qualche immagine non la farà di certo stare male. Ha deciso che sarà un viaggio culturale, abbazie e chiese e monasteri ce ne sono a ogni angolo e potrà completare quella parte mistica di conoscenze che le mancano. Lorenzo non amava molto pellegrinare tra chiese, lui credeva poco nella chiesa come istituzione, e se ci entrava lo faceva solo per ammirare i quadri dei pittori che, dietro incarico di papi o nobili o potenti, avevano abbellito, dal Trecento in poi, volte e pareti, e se lo faceva era per compiacere lei, che non perdeva mai occasione di recitare una frettolosa preghiera o accendere una piccola candela votiva. Con l’avanzare degli anni Flora aveva notato come l’avvicinamento a una qualsiasi forma di credo si facesse più assidua nelle persone, quasi certamente spinte dalla paurosa consapevolezza che la vita terrena avesse iniziato il conto alla rovescia e che quindi… non si sa mai: meglio abituarsi all’idea e incamminarsi con le carte in regola verso l’ingresso di quel mondo ultraterreno tanto migliore che le chiese promettevano da secoli.
Lorenzo non era così, lui non temeva di morire, era come se si fosse addestrato e preparato ogni giorno in cui apriva gli occhi, trasmettendo insomma una serenità e una lucidità invidiabili. Era un uomo bilanciato, che non avrebbe mai quindi ceduto al ricatto della paura della fine. Lorenzo se ne è andato infatti così, e Flora, se avesse potuto parlargli un attimo prima, sarebbe stata pronta a scommettere che anche in quel momento Lorenzo non avrebbe avuto né un rimpianto né un rimorso. Ma quel momento non c’è stato.
Da lassù le colline sembrano pezzi di una coperta fatta all’uncinetto, i filari perimetrali sono perfettamente allineati e armonici con i confinanti, Flora ricorda quanto piacesse a sua nonna quel tipo di lavoro manuale che da anni non viene più tramandato alle giovani ragazze. Un vero peccato perché era rilassante nonché creativo. Lei e Lorenzo avevano ricevuto una preziosissima coperta in pizzo quando si erano sposati, fatta a tombolo da una decina di suore che ci avevano lavorato per mesi, ma non l’hanno mai usata per timore di sciuparla. Siamo ben strani noi esseri umani, ricerchiamo il valore in alcuni oggetti e la loro preziosità o originalità ma, temendo di perderla, la conserviamo in un cassetto senza goderne il suo uso. E gli anni passano e noi passiamo e le cose restano, intonse, forse offese perché tanta venerazione da parte nostra le ha svuotate di significato.
Ha le gambe intorpidite, la circolazione sanguigna le difetta un po’ ed è per questo che da una decina d’anni cammina ogni giorno. Lorenzo la aspettava paziente, capiva quanto quell’ora quotidiana fosse per lei importante nemmeno fosse stata una prigioniera, la faceva sentire ancora attiva, energica, illusa che potesse andare ancora molto lontano malgrado l’incedere impietoso degli anni. Lui no, non amava camminare, preferiva spostare pesi, inventarsi lavoretti, pedalare. Quante volte aveva temuto che potesse accadergli qualcosa, un malore, un incidente, una banale caduta. La sua bicicletta ora l’ha nascosta sotto un telo in garage, è troppo d’ impatto per lei vederla lì, abbandonata in attesa che lui ci salga ancora sopra. Riflette che spesso temiamo cose che non sarebbero da temere e che al contrario sottovalutiamo altri eventi, come se fossero estranei e non contemplati dal nostro destino e che invece poi beffardamente saranno quelli che…
(il romanzo continua...)


